Allarme aggressioni al Policlinico Tor Vergata. Il 5 aprile si è verificato un nuovo caso ai danni di un infermiere del nosocomio ed è arrivata la denuncia di Alessandro Garau, segretario nazionale del sindacato CoAS Medici Dirigenti: “Gli ospedali italiani sono sempre più un vero e proprio Far-West. L’aggressione di questa mattina al Policlinico di Tor Vergata ai danni di un infermiere dimostra ancora una volta quanto il personale ospedaliero sia esposto alla violenza fisica e psicologica da parte dell’utenza sempre più esasperata o di squilibrati”. Da mesi, oramai, gli operatori della sanità sono sull’orlo di una crisi di nervi: su 4000 casi di violenza sul luogo di lavoro registrati in un anno in Italia, infatti, più di 1200 riguardano i lavoratori del comparto, pari al 30%. E, “all’interno di questo 30%, il 70% è contro professioniste donne, soprattutto medici della guardia medica”, quantificano l’Inail e il Ministero della Salute, che hanno portato i dati all’attenzione dell’Osservatorio permanente per la garanzia della sicurezza e per la prevenzione degli episodi di violenza ai danni degli operatori sanitari. A far scattare il meccanismo che accende il comportamento violento è, in generale, un’attesa del paziente non soddisfatta: una mancata priorità nell’accesso, una prescrizione di farmaci negata, una prestazione giudicata necessaria e urgente, una diagnosi o un referto sgraditi. E, non a caso, tra le aree individuate come maggiormente a rischio di violenza ci sono i presidi di guardia medica, gli ambulatori, i servizi psichiatrici; i Pronto soccorso e i reparti ospedalieri. In special modo ai danni degli infermieri: lo scorso anno sono state conteggiate “767 giornate di infortunio per 1765 operatori sanitari, con oltre trenta milioni di euro di costi nel comparto della sanità pubblica. Sono i dati dell’aggressione fisica in corsia, emersi da un’indagine dell’Ipasvi nazionale svolta nella Regione Lazio”, ha quantificato il collegio professionale degli infermieri- Numeri che fanno riflettere sul fenomeno, sempre più diffuso, dell’aggressione sia verbale che fisica, nei confronti degli infermieri e di tutte le altre figure che operano nella sanità”. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ordine degli infermieri, il totale delle carenze laziali è di 5806 paramedici, quasi l’11% dell’intero fabbisogno italiano (53860). Nel Lazio c’è un solo infermiere ogni 15 pazienti a fronte di una media nazionale di 11. Negli ultimi 7 anni la Regione ha perduto l’11% dell’organico, pari a 2497 infermieri: con la media di quasi uno in meno al giorno (da 22.599 a 20.102). E, se continua così, nel 2021 il Lazio avrà un fabbisogno di 6992 infermieri. Un’emorragia che, dopo la Campania, vede nel Lazio la Regione che ha perso più paramedici in Italia. E infatti sono proprio queste due Regioni che registrano le punte maggiori del ricorso allo straordinario, che copre il 4,5% dei turni. E i “turni massacranti si traducono in disturbi del sonno, problemi digestivi, stress, aumento di peso, malattie dell’apparato gastroenterico, effetti sulla sfera psicoaffettiva e disturbi cardiovascolari con un aumento del 40% del rischio di malattie coronariche” per gli infermieri, avverte l’Ipasvi. Secondo il quale “studi internazionali hanno dimostrato che la mortalità aumenta con il diminuire degli organici infermieristici e in particolare un minor carico di pazienti per singolo infermiere permette la riduzione della mortalità dei pazienti del -20%, se si portano da 10 a 6 i pazienti totali affidati a un singolo infermiere”.