Il Centro è mobile, però è solo uno per ben 5 ospedali della Roma 5, l’Asl più estesa del Lazio (1.813 Kmq). Che dispone “di un solo Centro mobile di rianimazione operante” per il trasporto dei degenti in codice rosso. E, nonostante “i trasferimenti dai 5 Pronto Soccorso avvengano in percentuale decisamente superiore a quanto rilevato nella Regione Lazio”, l’Asl Roma 5 assicura i trasporti dei casi urgenti con l’unica navetta h24 con medico rianimatore a bordo, denuncia un’interrogazione regionale firmata dal gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle. Il mese scorso l’ultimo caso: l’ambulanza, dopo 3 ore d’attesa, è arrivata all’ospedale di Subiaco ma non ha trasferito il degente (doveva essere portato a Roma per un’operazione urgente al cuore), ripartendo subito alla volta dell’ospedale di Colleferro per rispondere alla chiamata di un altro codice rosso. E, solo dopo altre 3 ore d’attesa, è stato finalmente caricato il degente 72enne, che però è morto a bordo dell’ambulanza 10 chilometri dopo l’ospedale di Subiaco (“ad oggi ridotto a fanalino di coda per l’assenza di un minimo di garanzia dei livelli essenziali di assistenza”, denunciano i consiglieri regionali pentastellati). Nell’interrogazione si chiede se il “decesso sia da mettere in relazione alle difficoltà di trasporto connesse alla presenza di un unico Centro mobile di rianimazione”. Un servizio appaltato, con un costo annuale di un milione e 245 mila euro (una spesa quotidiana di 3 mila e 459 euro) per un’Asl che soffre anche la “mancanza di 889 posti letto: ne ha solo 431 a fronte dei 1320 che dovrebbe avere”. Così come “l’assenza di stroke unit, radioterapia e risonanza magnetica, endoscopia utilizzabile in urgenza”. Oltre all’“assenza di assistenza sub-intensiva ed intensiva polivalente, pure obbligatoriamente prevista per un Dea di primo livello come Tivoli”. Tant’è che, come denuncia anche un’altra interrogazione presentata dalla Lega, i tre quarti dei ricoveri dei 500 mila residenti nei 70 Comuni si fanno al di fuori dell’Asl: “il 74% dei degenti nel 2018 si è dovuto rivolgere agli ospedali di altre aziende”.