Sacro Speco, nel 2019 l’Unesco deciderà sulla candidatura a sito “patrimonio dell’umanità”

Nel 2019 a Parigi verrà presentata ufficialmente la candidatura per far diventare i luoghi del monachesimo benedettino patrimonio dell’umanità. Un percorso lungo e complicato che, dopo l’inserimento nella Tentative List dell’Unesco, unica proposta italiana nell’ambito storico-culturale-artistico ammessa nel 2016, ora vede avvicinarsi il traguardo. Un progetto avanzato dalla Fondazione comunitaria del Lecchese che, con l’appoggio dell’abate presidente della congregazione benedettina sublacense-cassinese e il patrocinio dell’istituto dell’enciclopedia italiana Treccani, sta tirando le fila di una proposta che racchiude in un percorso che attraversa l’intera penisola i luoghi spirituali del Medioevo. Il complesso benedettino di Subiaco, l’abbazia di Montecassino, quella di San Vincenzo al Volturno, la sacra di San Michele a Torino, San Vittore alle Chiuse, Sant’Angelo in Formis, l’abbazia di Santa Maria di Farfa e infine proprio San Pietro al Monte. Comune denominatore, San Benedetto e la sua regola. “Il paesaggio culturale degli insediamenti benedettini dell’Italia medievale costituisce un sito seriale, edifici legati da un’origine condivisa e da caratteri analoghi eppure unici e originali. Esattamente quanto chiesto dall’Unesco. Ecco perché credo che riusciremo nel nostro intento, dopo aver coinvolto nel progetto insediamenti ben più noti di quello lecchese, come la Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte, che per ottenere il riconoscimento di patrimonio dell’umanità si è affidato a noi”, spiega Mario Romano Negri, presidente della Fondazione comunitaria del Lecchese. Il 28 maggio, all’interno della sala conferenze della Foresteria nel Monastero di Santa Scolastica di Subiaco, si è tenuta la conferenza di presentazione del progetto di candidatura. “Esprimo soddisfazione per lo sforzo profuso, poiché oltre ad un’unione artistico-culturale, il progetto sta dimostrando la capacità di coniugare comunità monastiche spesso legate da una profonda autonomia – ha detto l’abate ordinario di Subiaco, Dom Mauro Meacci – Le sintonie di questi anni stanno senza dubbio creando un valore che il visitatore scopre entrando quotidianamente nei monasteri”. Per la direttrice del Polo Museale del Lazio, Edith Gabrielli, “la presenza di comunità religiose all’interno dei beni culturali statali è, per quanto ho avuto esperienza nel corso della mia carriera, la migliore garanzia di salvaguardia e tutela del bene stesso. Auguro il miglior successo al progetto, perché stimolo importante per i territori che ospitano le strutture e per la stessa società civile che ne diviene custode naturale”.